STORIA

Al limite meridionale dell’antico impero del Nilo sorge il complesso della Nubia, che rappresenta il terzo grande nucleo di resti monumentali dell’Egitto dei faraoni dopo Menfi e Tebe. Al suo valore artistico e storico si aggiunge il fatto di essere stato, tra il 1960 e il 1970, il protagonista della prima e più importante campagna di salvaguardia intrapresa dall’Unesco per spostare, pietra dopo pietra, i templi e le ombre più preziose della regione, oggi sommersa dall’immenso lago formato dalla diga di Assuan.

Un alveo lungo 6000 chilometri, da milioni di anni a questa parte, porta le acque provenienti dai grandi laghi dell’Africa orientale a perdersi nel Mar Mediterraneo, attraversando uno dei deserti più aridi della Terra.  Questo fenomeno spettacolare ha un nome ben preciso, Nilo, e in passato ha permesso alla civiltà egizia di nascere e prosperare.

Prima di essere regolato dalla diga di Assuan, il fiume era soggetto ogni anno a forti piene e, quando le acque si ritiravano, lasciavano dietro di sé uno strato fertile di litio grigio. Gli uomini del Neolitico impararono ben presto a sfruttare questo sedimento fangoso per le coltivazioni agricole, ottenendo fino a tre raccolti l’anno. Fu così che una terra dove le piogge sono quasi assenti divenne, 4000 anni prima di Cristo, la culla di una civiltà molto avanzata.

LA PORTA DELL’AFRICA NERA

Solo il corso inferiore del fiume, tuttavia, poteva trarre vantaggio dalle piene, grazie alla conformazione delle sue rive, adatte all’agricoltura. Più a monte, all’altezza dell’Isola Elefantina, il letto del Nilo, incassato fra aspri faraglioni di roccia, forma una serie di rapide, le cosiddette “cateratte”, che impedivano la navigazione. Propio lì cominciava la Nubia, la porta attraverso la quale l’Egitto mediterraneo si affacciava sull’Africa nera, una terra apparentemente ingrata, dove il deserto arrivava praticamente fino in riva al fiume, ma in realtà ricchissima. Fin da tempi lontanissimi dei due regni (Alto e Basso Egitto), alla fine del IV millennio a.C., i signori dell’Alto Egitto organizzarono regolari spedizioni per saccheggiare quella zona, ritornando in patria carichi d’oro, di ebano e di schiavi.

Quando l’unificazione dei due regni fece dell’Egitto un potente impero, l’espansione dei confini verso sud divenne l’obiettivo prioritario di tutti i faraoni. L’antico Regno riuscì a superare la prima cateratta, ma con il Regno Nuovo tutta la Nubia, oltre la quarta cateratta, ormai nei territori dell’attuale Sudan, passò a far parte dell’Egitto. Tale espansione consentì alla cultura egizia di porre solidi basi non solo nella regione di Uatuat, dove l’architettura monumentale dei faraoni ha lasciato molte tracce, ma anche nelle più lontana Kush, destinata a dare all’Egitto una dinastia di sovrani i cui ritratti, benché eseguiti secondo la tradizione egizia, ne rivelano inequivocabilmente l’origine.

RAMESSE II, FARAONE DIVINIZZATO

Non è casuale che i monumenti più interessanti sorgano verso sud, in prossimità della seconda cateratta del Nilo. La costruzione della diga di Assuan, inaugurata nel 1971, ne ha reso necessario il trasferimento, ma i due templi rupestri di Abu Simbel non hanno perduto nulla del loro fascino originale, che appare anzi accentuato dalla nuova ubicazione, nel cuore di un deserto desolato.

Dove un tempo esistevano due grotte consacrate al culto di divinità locali, il faraone Ramesse II fece costruire, a metà del XIII secolo a.C., altrettanti templi scavati nella roccia viva. La facciata del Tempio Grande, alta una trentina di metri e larga 35, presenta quattro enormi statue assise del faraone (alte circa 21 metri); accanto alle gambe dei colossi ci sono statue più piccole in piedi, che raffigurano parenti di Ramesse II. In una nicchia sopra l’ingresso c’è un gruppo scultoreo simbolico dedicato anch’esso al faraone, mentre in cima alla facciata del tempio si staglia una fila di statue di babbuini adoranti, le cui grida si pensavano dessero il benvenuto al sole nascente. L’edificio era costruito in modo che due volte l’anno, quando il sole appariva all’orizzonte, i raggi penetrassero dalla porta del tempio nella grande sala con otto pilastri a forma di colossali statue del re, attraversassero la seconda sala sorretta da pilastri, il vestibolo e il santuario e andassero a cadere sulle quatto statue di divinità poste nella nicchia di fondo del tempio, illuminandole in pieno. I rilievi del Tempio Grande testimoniano la divinizzazione di Ramesse II mentre il re era ancora in vita.

Il Tempio Piccolo era dedicato alla dea Hathor e alla regina Nefertari. La facciata è formata da sei colossali statue in piedi scolpite nella roccia (alte circa dieci metri), mentre l’interno è una versione ridotta del Tempio Grande: una sala con pilastri hathorici, un vestibolo con camere laterali, il santuario. La nicchia sul fondo ospita una statua della vacca Hathor che protegge il re.

Studi archeologici confermano che questi templi furono eretti per intimidire i vicini Nubiani e per commemorare la vittoria nella Battaglia di Qadesh.

CURIOSITÀ

Il sito archeologico fu scoperto il 22 marzo 1813 dallo svizzero Johann Ludwig Burckhardt, quasi completamente ricoperto di sabbia, e fu violato per la prima volta il 1º agosto 1817 dall’archeologo italiano Giovanni Battista Belzoni.
Nel 1979 è stato riconosciuto come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Se vuoi leggere altri articoli sui Patrimoni dell’Umanità, clicca qui 👉 UNESCO.